Salvo il posto di lavoro della dipendente beccata in villeggiatura mentre ufficialmente non era andata in ufficio per potere prestare assistenza alla madre disabile. Inutile il licenziamento deciso dall’azienda e cancellato ora dai Giudici, i quali sostengono sia addebitabile alla lavoratrice non un comportamento fraudolento bensì semplicemente una giornata di assenza non giustificata.

Concordi i giudici di merito: impossibile ritenere legittimo il licenziamento adottato da una s.p.a. nei confronti di una lavoratrice beccata «in villeggiatura in un giorno di permesso ex lege numero 104, concessole per assistere la madre disabile che, invece, si trovava in altro luogo» e non certo in vacanza con la figlia.

Secondo l’azienda «la dipendente ha violato i principi di correttezza e buonafede nonché gli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, cagionando altresì, con la propria assenza, disagi e disservizi nell’organizzazione del lavoro».

Per i giudici di secondo grado, invece, «la lavoratrice non ha negato il fatto specificamente contestatole, scusandosi dell’errore commesso, di cui ha riconosciuto la gravità e adducendo quali motivi l’improvvisa indisponibilità espressa dalla madre soltanto nella tarda serata del giorno prima a raggiungerla, come concordato, presso la località di villeggiatura, e, quanto al mancato tempestivo rientro, le proprie condizioni di salute, anche in relazione alla guida di notte per lunghi tragitti ed al traffico che avrebbe trovato».

Inoltre, la lavoratrice ha anche spiegato di «non aver pensato di avvertire l’azienda del fatto che» quel giorno «non avrebbe potuto materialmente assistere la madre» e comunque di «essere ripartita per la città in treno, nel pomeriggio dello stesso giorno, disdettando la prenotazione dell’albergo».

A fronte delle giustificazioni offerte dalla dipendente dell’azienda, quindi, per i giudici d’Appello, come già per i giudici del Tribunale, è impossibile parlare di «giusta causa di licenziamento poiché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa».

Inutile il ricorso proposto in Cassazione dal legale che rappresenta la s.p.a. Per i Giudici di terzo grado, difatti, va condivisa la valutazione compiuta in Appello, valutazione secondo cui «la contestazione della società è da intendersi come contestazione di assenza ingiustificata per un giorno e non come comportamento fraudolento e preordinato all’abuso della fruizione del permesso ex lege n. 104/1992».

Impossibile, di conseguenza, mettere in discussione «la tutela reintegratoria» applicata in Appello, poiché «attraverso una valutazione del grado di gravità della condotta» tenuta dalla lavoratrice e «delle circostanze del caso concreto», logicamente si è ricondotto l’episodio rilevato dall’azienda «ad una ipotesi omologabile all’assenza arbitraria per un giorno lavorativo» e non «alla fruizione abusiva del permesso retribuito» concedibile per l’assistenza a un familiare.

Cass. civ., sez. lav, sent., 26 aprile 2022, n. 13065