La Corte d’Appello di L’Aquila ha avuto modo di decidere sul ricorso presentato da parte di un utente, sospeso da Facebook per violazione degli “standard della comunità”, in seguito alla pubblicazione di alcune foto, post e commenti pieni di disprezzo.

La Corte territoriale ha avuto modo di sottolineare che «si stipula un contratto per adesione mediante il ricorso a moduli online predisposti unilateralmente dal social network alle cui clausole si applica la legge italiana. L’utente/consumatore può scegliere la giurisdizione competente in base al regolamento Ce 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali. L’adesione al contratto comporta il sorgere di doveri reciproci. Se da un lato Facebook mette a disposizione una community, dall’altro l’utente concede al social network la facoltà di usare, a determinate condizioni, i propri dati personali. Si tratta quindi di un contratto a titolo oneroso e a prestazioni corrispettive, dove il “prezzo” pagato dall’utente è rappresentato dalla concessione per fini commerciali dei propri dati personali».

Ne consegue che ogni social network può introdurre clausole che gli attribuiscono poteri di rimozione dei post degli utenti e di sospensione degli account, che non possono essere considerate vessatorie, valutando, però, attentamente se tali post risultino davvero offensivi o contrari agli “standard” della comunità prima di sospendere o rimuovere un account.

Il Collegio ha ritenuto, quindi, lecite le prime due sospensioni dell’account effettuate per commenti lesivi dell’altrui reputazione, mentre ha ritenuto illegittime le successive, poiché «la mera pubblicazione di una foto con un commento che si limita all’espressione del proprio pensiero (…) non si ritiene sufficiente a violare gli standard della comunità».

Per questi motivi, i giudici del merito hanno ridimensionato il risarcimento dovuto all’utente in questione.

App. L’Aquila, sent., 9 novembre 2021, n. 1659