Vale una condanna l’affare concluso online con l’acquisto di ben cento capi d’intimo – con marchi contraffatti – a un prezzo irrisorio. Per i Giudici è logico parlare di ricettazione (Cass. pen., sez. II, 25 ottobre 2021, n. 38113).

A inchiodare l’uomo sotto processo sono i dettagli dell’acquisto da lui concluso su internet e riguardante cento capi di intimo con marchi contraffatti. Per i giudici di merito non vi sono dubbi sulla destinazione della merce alla vendita – essendo impensabile una scorta così ampia per uso esclusivamente personale – e, soprattutto, sul fatto che l’uomo fosse consapevole di comprare prodotti di provenienza non lecita o, almeno, dubbia.

Così, sia in primo che in secondo grado, viene emessa condanna anche per il reato di ricettazione.

A ribadire la colpevolezza dell’uomo sotto processo provvede ora la Cassazione, ritenendo inequivocabili alcuni dati oggettivi. Nello specifico, i giudici fanno riferimento a: «numero dei capi di abbigliamento acquistati, in numero superiore al triplo, rispetto a quelli indicati nella documentazione di accompagnamento del plico ove erano contenuti» e «prezzo del singolo capo, del tutto incoerente con il valore commerciale del bene sino a farlo ritenere irrisorio».

Inutili le osservazioni proposte dall’uomo a propria discolpa, e centrate soprattutto sulle sue personali convinzioni circa «il carattere originale dei beni» e «la possibilità di acquistare a prezzi convenienti quei beni sulla rete Internet».

Per i Giudici, quindi, è evidente «il dolo nella ricezione dei beni», avendo l’uomo consapevolmente accettato il rischio che «la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza», proprio tenendo presenti «le modalità di acquisto, l’anomala discrepanza tra il numero dei capi indicati nella documentazione di trasporto e quelli effettivamente ceduti – indice di un accordo noto ad entrambe le parti – e, infine, il prezzo praticato». Impossibile, quindi, ipotizzare un semplice incauto acquisto online (Cass. pen., sez. II, ud. 28 settembre 2021, n. 38113).

Fonte: www.diritto e giustizia.it